
Quando parliamo di Gesù come "uomo dei dolori", entriamo nel cuore più profondo della nostra fede. Questa espressione la troviamo chiaramente nel profeta Isaia, precisamente in Isaia 53,3:
«Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.»
Questa definizione non è casuale, ma rivela qualcosa di fondamentale sulla persona di Gesù, sul suo modo di amarci e di redimerci. Spesso immaginiamo Gesù come qualcuno di forte, potente, glorioso – e certamente lo è – ma rischiamo a volte di dimenticare o sottovalutare la profondità della sua umanità, fatta anche di fragilità, dolore, angoscia e sofferenza.
La figura di Gesù come uomo dei dolori ci indica una verità potentissima: Dio non è distante, non è indifferente, non è estraneo al nostro dolore. Egli, in Cristo, ha scelto volontariamente di farsi carico della sofferenza umana. Gesù non è semplicemente venuto a predicare una morale o ad annunciare astratte verità spirituali, ma è venuto a immergersi totalmente nella nostra condizione umana, entrando nei nostri dolori, nelle nostre paure, nelle nostre solitudini più profonde.
Lo vediamo chiaramente nell'orto degli ulivi (Getsemani), quando Gesù affronta un'angoscia fortissima, tanto da sudare gocce di sangue (Lc 22,44). Lì egli sperimenta non solo la paura della sofferenza fisica che lo aspetta, ma anche quel senso di abbandono, di solitudine spirituale, di estrema vulnerabilità che spesso accompagna ogni dolore umano. Anche sulla croce lo sentiamo gridare: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). Questo grido non è soltanto una citazione del Salmo 22, ma è anche un’espressione profonda di reale abbandono, che ci mostra quanto profondamente Gesù abbia sperimentato il dolore umano.
Perché è così importante questa verità per noi credenti?
Perché sapere che Gesù ha attraversato il dolore, la tristezza, la solitudine, significa che il nostro Dio è un Dio empatico, vicino. Gesù, "uomo dei dolori", sa esattamente che cosa significa soffrire. Sa cosa significa sentirsi traditi da chi si ama (come Giuda), negati da amici vicini (come Pietro), rifiutati dal proprio popolo, derisi, umiliati, percossi ingiustamente. Conosce da vicino l’esperienza di essere giudicati, fraintesi, abbandonati e, soprattutto, l'esperienza del silenzio di Dio.
In Gesù vediamo un Dio che non ci osserva dall'alto, seduto su un trono lontano, ma che si siede con noi nel fango della nostra umanità, accanto al nostro letto quando siamo malati, vicino a noi quando piangiamo un lutto, con noi quando attraversiamo crisi interiori, spirituali o relazionali.
Gesù uomo dei dolori ci insegna che il dolore non è assurdo né inutile. Non lo rende bello, non lo idealizza, ma lo rende fecondo. Nel dolore, infatti, si può rivelare il senso più profondo del nostro vivere: condividere, amare, offrire. Gesù ci insegna a vivere il dolore come offerta, come via privilegiata per unirci intimamente a Lui. Proprio Lui, che attraverso la Croce ha salvato il mondo, rende la sofferenza redentiva. La Croce non è più soltanto un simbolo di tortura e sconfitta, ma diventa paradossalmente il luogo dove Dio manifesta pienamente la Sua gloria, cioè la forza e la profondità del Suo amore.
Gesù, proprio perché uomo dei dolori, diventa per noi l’unico veramente in grado di consolare profondamente i nostri cuori feriti. Quando ci avviciniamo a Lui nelle nostre angosce, non ci risponde con un giudizio, ma con un abbraccio che dice: "Io capisco, io ci sono passato, conosco la tua fatica e ti sono accanto."
Questo aspetto della fede è essenziale soprattutto oggi, in un mondo dove spesso domina la logica della performance, della forza apparente, del successo a tutti i costi. La fede cristiana propone invece l'immagine sconvolgente di un Dio che salva proprio attraverso il dolore, che sa stare con noi anche e soprattutto nelle nostre fragilità.
Come credente, possiamo contemplare Gesù uomo dei dolori quando attraversiamo momenti difficili, certi che Egli sa capire il nostro cuore più profondamente di chiunque altro. Nel contemplarlo così, riscopriamo la forza di perseverare, di sperare, di amare, consapevoli che il nostro dolore, quando unito a Lui, acquista un significato eterno, redentivo e profondamente umano.
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